
“Belgio, il governo: “Vegano è hippy e insipido, usiamo altri termini”” è stato pubblicato su Vegolosi, magazine di cultura e cucina 100% vegetale
Dieci anni fa, le Fiandre si erano prefissate un obiettivo ambizioso: entro il 2030, il governo voleva che i fiamminghi seguissero una dieta in cui il 60% del loro apporto proteico fosse di origine vegetale. Tuttavia, i progressi nel raggiungimento dell’obiettivo sono stati lenti. Finora infatti solo il 40% circa della dieta media fiamminga deriva da fonti vegetali.
Fra le ultime iniziative messe in campo dal governo c’è anche un appello spedito ai ristoratori realizzato attraverso un documento informativo che li esorta a provare nuove alternative ai loro piatti tutte in chiave vegetale ma con un consiglio molto pratico in chiave linguistica: evitare di usare le parole “vegetariano” e “vegano” troppo legate a pregiudizi e stereotipi. “Optate per lettere neutre (v o ve) oppure usate simboli come una foglia verde” si legge nel documento, come riportato dal giornale Brussels Times. Il portavoce del ministro dell’Ambiente e dell’Agricoltura Jo Brounsha ha aggiunto: “Le persone associano la parola ‘vegetariano’ a ‘noioso’ o ‘non buono’, mentre il termine ‘vegano’ evoca un lato ‘hippie’ e ‘insipido’. Ecco perché il ministro fiammingo incoraggia i ristoranti a non usare queste parole, considerate più ‘polarizzanti’ o ‘moralizzanti’”.
Lo stigma “vegano”
La riflessione del governo fiammingo non è di certo nuova. Sono anni che attorno alla questione dei nomi nel mondo dell’alimentazione vegetale si accalcano pareri, studi, commissioni parlamentari e polemiche. Sul “The British Journal of Sociology” nel 2011, uno studioso e una studiosa britannici, Matthew Cole e Karen Morgan, introdussero il termine “vegefobia” che prese piede negli anni successivi e che si trova attualmente analizzato anche dall’Accademia della Crusca che lo indica come un’ “Avversione nei confronti di vegetariani e/o vegani, che si manifesta mediante atti o atteggiamenti di stigmatizzazione, ridicolizzazione o svalutazione, specialmente in relazione alle ideologie antispeciste”.
Il termine “vegano” in particolare negli anni ha assorbito come una spugna in Italia – ma non solo – una serie infinita di informazioni distorte diventando spesso sinonimo di atteggiamenti estremi e, dal punto di vista alimentare, di privazione e di alimentazione non equilibrata. Ecco perché in molti – soprattutto i così detti “influencer” hanno optato per termini meno esatti ma meno invisi al grande pubblico come “plant based” oppure “vegetale” che, va ricordato, non significa “vegano” bensì indica un alimento o un’alimentazione che sia basata prevalentemente sui vegetali ma che non esclude del tutto gli alimenti di origine animale.
Dimenticare per cambiare?
L’idea di dimenticare il termine esatto e la sua storia politica e culturale ha in qualche modo prestato il fianco alle lobby della carne che per anni hanno attaccato il movimento per metterlo in cattiva luce accusandolo di portare avanti l’idea di un’alimentazione pericolosa ed estrema, mentre la comunità scientifica internazionale navigava in acque decisamente diverse, mostrando come l’alimentazione vegana sia fra le più salubri per l’essere umano ma anche per l’ambiente.
Cambiare un termine cambierà il sistema? Riuscirà la sparizione lenta e inesorabile del termine “vegan” a far cambiare cultura alimentare a più persone possibili? Oppure sarebbe necessaria una cultura profonda del rispetto e una conoscenza vera e non mediata di che cosa si nasconde dietro la produzione di alimenti di origine animale?
“Belgio, il governo: “Vegano è hippy e insipido, usiamo altri termini”” è stato pubblicato su Vegolosi, magazine di cultura e cucina 100% vegetale.
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